Avete mai sentito parlare di brand positioning? In italiano significa letteralmente “posizionamento di marca” ed è un pilastro del marketing strategico. Troppo spesso il positioning viene percepito come un’attività pertinente solo al marketing delle grandi multinazionali. Ma se ci pensate, potrebbe ricoprire un ruolo molto importante per le PMI nella sempre più agguerrita battaglia alla concorrenza, sfruttando anche e soprattutto il web!

Brand positioning: definizione

Il termine si è affermato negli anni ’60 grazie a due pubblicitari, Al Ries e Jack Trout. Per quest’ultimo posizionare una marca significa “possedere una parola nella mente dei clienti, una parola che non appartenga a nessuno”.

Il posizionamento, tecnicamente parlando, può essere definito come la somma di tutte le attività volte a definire l’offerta e l’immagine della marca in modo tale da conferirle una posizione distinta e apprezzata nella mente dei consumatori rispetto ai suoi concorrenti.

L’obbiettivo è creare un vantaggio competitivo per il brand, il quale costituirà la base su cui poggeranno tutte le attività di comunicazione e promozione. Ciò deve avvenire facendo leva su un particolare attributo (o un insieme di attributi) che lo renda unico e differente da tutti gli altri. Si tratta della così detta “value proposition” , cioè la proposta di valore.

Value proposition e differenziazione

Come si definisce il vantaggio competitivo di un brand? Per individuare la miglior proposta di valore volta a posizionare in maniera ottimale il brand all’interno del suo segmento di mercato, le domande da porsi sono tre:

Dunque, prima di tutto si deve necessariamente procedere ad un’analisi di mercato improntata a conoscere perfettamente il segmento in cui opera il brand. Si deve capire fino in fondo chi è il target, quali sono i suoi bisogni, le sue insoddisfazioni e via dicendo, fino ad individuare una vera e propria “buyer persona”, ovvero la versione più stereotipata del nostro potenziale consumatore. Fatto questo, bisogna analizzare in maniera approfondita l’offerta della concorrenza, focalizzandosi sull’individuazione dei così detti “POPs” e “PODs”. Cosa sono? Ve lo spiego meglio!

I “Point-of-Parity” sono quelle associazioni al brand, possibilmente forti e positive ma non necessariamente uniche, che costituiscono un elemento qualificante perché l’offerta possa essere considerata legittima e credibile a gli occhi del consumatore (Category POPs). Ma questi possono essere creati anche per annullare gli elementi di differenziazione delle marche concorrenti, rendendole così comparabili ad un’altra (Competitive POPs).

Invece, i “Point-of-Difference” sono quelle associazioni al brand molto forti, positive e vantaggiose, ma soprattutto uniche, che i concorrenti non possiedono. Sono quelle che nel processo di posizionamento andranno a costituire la base da cui partire per la differenziazione, la materia prima delle strategie di brand positioning.

Questi due tipi di associazioni possono identificare varie topologie di attributi legati al prodotto, al servizio o all’azienda. Ad esempio, se pensiamo ad attributi funzionali (intrinseci al prodotto) possiamo pensare alla qualità. Se invece teniamo conto degli attributi non funzionali (non intrinseci al prodotto, ma che lo riguardano) possiamo pensare ai suoi i benefici, al design o al prezzo. Altri elementi distintivi potrebbero essere i canali di distribuzione o l’immagine aziendale. Se pensiamo ad un servizio potremmo invece individuare il vantaggio competitivo del brand  nella customer care…non è forse l’assistenza post-vendita l’elemento distintivo di Amazon? 😉

USP e UEP: due modi per posizionare il brand

Per quanto riguarda i metodi e le strategie, voglio illustrarvene le due più famose riportandovi anche un piccolo case-history! 😊

Il primo metodo è quello della Unique Selling Proposition, teoria elaborata da Rosser Reeves negli anni ’40, applicata ancora oggi con successo. Il principio della USP è che le comunicazioni di marca più efficaci per il posizionare il brand nella mente del consumatore, sono quelle che puntano su un solo elemento distintivo o proposta di valore. Questa teoria può essere sintetizzata nello slogan che Reeves ideò per il lancio degli M&M’s, determinandone il posizionamento: “M&M’s melt in your mouth, not in your hands” – Il cioccolato che si scioglie in bocca…non in mano.

Il secondo si basa invece sul concetto definito da Leo Burnett, la teoria della Unique Emotional Plus (UEP). In questo caso la strategia si deve sviluppare intorno al contenuto emozionale insito nella marca o nel suo prodotto o servizio. È grazie a questo che la marca può instaurare un rapporto di vicinanza alle persone e conferisce così al suo prodotto un vantaggio competitivo.

L’UEP si ottiene quindi andando ad intervenire sulla brand personality, dotandola di un set di attributi particolarmente attraenti, coinvolgenti ed emozionali, magari utilizzando un brand character che riassuma in sé questi tratti.

Ad esempio, lo sapevate che prima del riposizionamento ad opera dello stesso Burnett, Marlboro era una marca di sigarette preferita quasi esclusivamente dal gentil sesso?! Questa cosa però garbava poco al brand, così per intercettare il target maschile, si decise di creare un testimonial mitico: “Marlboro Man”, il prototipo del cow-boy americano. Attraverso questo espediente la marca è così riuscita a comunicare in maniera chiara e diretta a quale target di consumatori volesse rivolgersi, coinvolgendolo emotivamente. La strategia si è rivelata molto efficace in quanto i maschietti hanno reagito nel modo più positivo possibile: scegliendo il brand! 😉

Ora che sai cos’è il brand positioning e perché è importante per distinguersi dalla concorrenza, puoi cominciare a pensare a quello più adatto per il tuo brand! Nel frattempo, se desideri rimanere sempre aggiornato sulle novità del web e del digital marketing, che tu sia un professionista, un neofita o semplicemente un curioso, unisciti alla nostra community di Webers, basta cliccare qui 😉

A presto,
Gheita by iWebU 👈🏻

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